CHIMICA del TERRENO e substrati

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Messaggio Da Andrea Lubrano Ven Gen 09, 2015 7:21 pm

CHIMICA Del TERRENO e substrati
Messaggio da Andrea Lubrano » 27 nov 2012, 21:32

Come promesso, ecco un'estratto del topic Substrati e dintorni viewtopic.php?f=7&t=14707 del quale ho raccolto le parti più scientifiche e significative.

Buona lettura a tutti!



Questo articolo nasce dall'esigenza di fare chiarezza sulle proprietà  e caratteristiche chimiche dei substrati, le quali determinano poi la più o meno idoneità  di questi per la pianta da coltivare. Apprendere queste nozioni di base è a mio avviso importante per l'appassionato di bonsai, ma in generale di piante, per liberarsi da rigide formulazioni e per riuscire ad interpretare di volta in volta i fenomeni che accadono in vaso ed agire di conseguenza. Verranno di seguito spiegate in modo semplice e comprensibile le caratteristiche chimiche più importanti: Capacità  di Scambio Cationico, Potenziale red-ox, pH. Infine, sulla base di quanto detto, verranno fatte delle considerazioni pratiche e deduttive.


CAPACITA' DI SCAMBIO CATIONICO

Per capacità  di scambio cationico (CSC) si intende la capacità  che ha un substrato di trattenere cationi (Ca++, Mg++, NH4+, ecc...) che sono anche i minerali che la pianta deve assorbire in quanto gli servono per la sua crescita (quelli che chiamiamo elementi nutritivi). La CSC si misura in m.e/100g ovvero milli-equivalenti di cationi per 100 grammi di terreno.

Ogni colloide (o particella) del terreno ha carica interna negativa (-) quindi lega alla sua superficie i cationi. Quindi la CSC di un substrato è direttamente correlata alla superficie totale delle particelle che lo compongono.

Come si deduce dalla figura, a parità  di volume, la superficie totale di scambio dell'argilla (che ha i colloidi più piccoli in assoluto) è enormemente più grande di quella della sabbia. Quindi un terreno argilloso è un serbatoio di elementi nutritivi ben superiore a quello di un terreno sabbioso (ovvero ha una CSC molto più alta).

In figura si vede il rapporto di dimensione tra un colloide di sabbia e uno di argilla, poi sotto si vede come in uno spazio grande come una singola particella di sabbia ce ne stanno molte di argilla, da cui si deduce che la superficie esterna totale delle particlelle di un substrato argilloso è molto superiore rispetto a un substrato sabbioso.

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Substrati ancora più grossolani della sabbia, come pomice e altri, sono definiti inerti proprio perché la loro CSC è praticamente trascurabile.

Ma perché si dice SCAMBIO cationico? Perché la radice allungandosi e arrivando a contatto con tutti i colloidi, escreta ioni idrogeno (H+) e altre molecole organiche (essudati) che scambia con gli altri cationi che si staccheranno dai colloidi e verranno assorbiti.

Altre considerazioni:
-a parità  di colloide, la CSC varia a seconda delle caratteristiche chimiche dello stesso.
-a parità  di superficie, l'humus ha una CSC molto più elevata rispetto alle altre particelle di origine minerale, quindi addizionato ad un substrato sabbioso ne migliora la CSC globale e quindi la fertilità .

QUINDI, AI FINI DELLE SCELTE, COME INTERPRETARE IL FATTO CHE UN SUBSTRATO ABBIA UNA CSC PIU' ALTA RISPETTO AD UN ALTRO?

Il fatto che un substrato abbia una buona CSC fa sì che la pianta disponga di una enorme riserva di elementi nutritivi. Inoltre, essendo la molecola dell'acqua polare, è anch'essa trattenuta tanto più efficacemente da un substrato quanto maggiore è la sua CSC.

Questo vuol dire che, scegliendo un substrato prevalentemente di natura minerale, costituito da circa un 20% di argilla, 70% di sabbia e 6% di humus (sostanza organica), il quale ha una buona CSC (10-20 m.e/100g), non ci sarà  bisogno di fertilizzare per niente, teoricamente, perché il terreno rilascerà  tutti gli elementi utili: Azoto e Fosforo verranno rilasciati dalla continua decomposizione della sostanza organica (SO), tutti gli altri elementi verranno scambiati e assorbiti prelevandoli dai colloidi e in secondo luogo dalla decomposizione della SO. Si potrà  comunque addizionare un po' di fertilizzante, senza esagerare, per evitare eventuali carenze momentanee.

Scegliendo invece substrati inerti come pomice o lapillo, bisognerà  addizionare dei fertilizzanti completi di tutti gli elementi, dal primo all'ultimo, perché la pianta non ha altra possibilità  di assorbirli (se non quelli naturalmente contenuti nella comune acqua). Questo offre il vantaggio di poter essere sicuri di controllare la nutrizione della pianta senza che dipenda da un substrato che non si sa quanto possa nutrirla. Infatti se il terreno non è opportunamente bilanciato potrebbe difettare di alcuni elementi.
In realtà  pomice e lapillo, in quanto molto porosi, avrebbero una CSC discreta (10-20 m.e/100g), ma questa è dovuta alla grande superficie di contatto presente soprattutto all'interno del granulo, che però non è utilizzabile dalla radice. Quindi questi substrati devono essere considerati in tutto e per tutto inerti.

Come considerare Torbe e Terricci?

Torbe stabili (ovvero resistenti all'attacco dei batteri e alla decomposizione da parte dei microorganismi), di buona qualità , si comportano più o meno come un substrato inerte offrendo al contempo un buon supporto per le radici e una buona ritenzione di acqua.

I terricci universali (TU) sono invece costituiti da torbe non sempre stabili e da materiale compostato ad alta CSC (superiore a 20 m.e/100g) che viene energicamente degradato dai microorganismi con una serie di inconvenienti che analizzeremo dopo.

Quindi come prossimo argomento vediamo l'influenza dei microorganismi del terreno e del potenziale red-ox, che è la cosa più importante, la chiave per tutte le interpretazioni dei fenomeni che avvengono in vaso.


IL POTENZIALE RED-OX DEL TERRENO

Il potenziale red-ox (potenziale di riduzione e di ossidazione) è un valore numerico preciso attribuito alla capacità  di una soluzione di accettare elettroni (e-).

Il rapporto tra potenziale red-ox ed accettori di elettroni in un ipotetico substrato può essere descritto nel modo seguente: l'acqua, quando è satura di ossigeno (O2), come è l'acqua di irrigazione, ha un alto potenziale red-ox (circa +800 mV) perché l'ossigeno si riduce facilmente accettando elettroni e in presenza di H+ si trasforma in acqua (quello che avviene nella respirazione cellulare).

In un terreno l'ossigeno viene ridotto (accettando elettroni) dai batteri, che, come noi e le piante, lo usano per respirare e produrre ATP (che è la molecola energetica che serve per attivare tutte le reazioni di sintesi di nuovi tessuti e per il mantenimento di cellule vive). Mano a mano che l'O2 viene ridotto e la sua concentrazione diminuisce, si abbassa il potenziale red-ox. Quando O2 scarseggia, molti batteri possono usare ancora i nitrati (NO3-) come accettori finali di elettroni nella respirazione. Quando sono finiti anche questi (siamo ora su potenziali di circa +200 mV), molti batteri utilizzano i solfati (SO4--) e la stessa materia organica come accettori di elettroni in vari processi di fermentazione (siamo su potenziali di -200 mV). Proprio dalla riduzione di solfato e sostanza organica (SO) si formano H2S e vari alcoli organici che sono veleni per le piante.

In figura sono rappresentate alcune reazioni chimiche che si svolgono nel terreno man mano che il potenziale red-ox diminuisce.
Accanto è rappresentato molto sommariamente il metabolismo energetico degli organismi aerobi (compresi noi): questo parte dagli zuccheri (glucosio) che vengono metabolizzati attraverso la glicolisi; poi, attraverso il Ciclo di Krebs, si generano dei riduttori (NADH e FADH) che nella catena respiratoria generano il gradiente di H+ che servirà  per la produzione di ATP; gli H+ si consumeranno poi reagendo con l'O2 e generando H2O (passaggio fondamentale altrimenti si bloccherebbe tutto). Alcuni microorganismi in condizioni di carenza di O2 possono utilizzare nitrati (NO3-) e solfati (SO4--) come accettori sostitutivi di elettroni (fermentazione anaerobica).

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Naturalmente ci sono piante, abituate a vivere in terreni organici e umidi, che hanno sviluppato dei meccanismi di difesa riguardo a questi composti tossici. Alcune di queste (es. ninfee) traslocano l'O2 svolto nella fotosintesi nel parenchima areifero e lo rilasciano dalle radici per aumentare nei dintorni di queste il potenziale red-ox. Tra le piante coltivate però ce ne sono poche ad attuare questo comportamento (es. taxodium con la produzione di pneumatofori), anche se piccole quantità  di ossigeno dalle radici sembra che lo rilascino quasi tutte...

Ricapitolando, il potenziale red-ox è pesantemente influenzato dalla concentrazione di O2, ma quest'ultima è influenzata a sua volta dall'intensità  dell'attività  microbica; una volta terminato l'O2 e gli NO3-, se il substrato è ricco di SO decomponibile e di SO4--, è un dramma per la pianta.

Ma dove si trova l'attività  microbica intensissima e alta % di SO decomponibile? Nei terricci universali.

In un terreno minerale (terra di campo/sabbia), il consumo di O2 procede molto più lentamente e alla fine di questo non c'è poi tutta questa SO da ridurre. Questo fa sì che il terreno possa rimanere bagnato per più tempo senza conseguenze anche se manca O2 e il potenziale red-ox è basso.

In un substrato grossolano inerte (pomice, lapillo ecc...), il potenziale red-ox permane su valori intorno a +800 mV in quanto è molto ricco di O2. Questo però potrebbe essere un problema, in quanto, come si vede dalle reazioni viste nella figura precedente, molti microelementi (es. Fe e Mn) passano nella loro forma solubile e assorbibile (Fe2+ e Mn2+) solo a potenziali red-ox bassi, altrimenti si insolubilizzano in brevissimo tempo. Nei fertilizzanti per piante questi elementi rimangono disponibili per l'assorbimento per un tempo assai limitato, a meno che non siano chelati. Ecco perché coltivando in questo tipo di substrati è bene addizionare costantemente fertilizzanti completi di tutti gli elementi ad ogni irrigazione, oppure mettere dei granulari a lento rilascio.


IL pH DEL TERRENO

Bene, ora, avete visto che in molte reazioni red-ox appaiono gli H+? E avete visto che per strappare i cationi dai colloidi ci vogliono gli H+? Allora vediamo ora come il pH influenza tutto e come lo possiamo modificare noi, e poi facciamo delle considerazioni pratiche.
Intanto presentiamo il pH:

Per pH si intende il -log10 (concentrazione di H+) quindi è una misura indiretta della concentrazione di ioni idrogeno sciolti nell'acqua. La scala del pH prevede valori compresi tra 1 e 14; per valori compresi tra 1 e 6,5 si parla di pH acido (alta concentrazione di H+); per valori compresi tra 7,5 e 14 si parla di pH basico (bassa concentrazione di H+); per valori compresi tra 6,5 e7,5 si parla di pH neutro.

Il pH gradito alla maggior parte delle specie è quello compreso tra 6 e 7, cioè leggermente acido. Questo permette una maggiore mobilitazione dei cationi presenti sulla superficie dei colloidi che, scambiandosi con gli H+ (vi ricordate lo scambio cationico?), si rendono così disponibili per essere assorbiti dalle radici della pianta.

Un pH troppo basso potrebbe stressare la pianta in quanto è troppo diverso dal pH dell'interno delle sue cellule. Inoltre, con un'alta concentrazione di H+ e un potenziale basso, le reazioni red-ox che rendono disponibili Fe, Mn (vedi figura precedente) e altri microelementi procedono a velocità  troppo elevate e finirebbero per creare tossicità  per eccesso di questi elementi (si chiamano infatti microelementi perché per quanto essenziali sono assorbiti solo in piccole quantità ).

Molte piante calciofile, tipiche di terreni aridi, poco organici e spesso alcalini (es. diverse specie di pini, ginepri, tamerici...), soffrono moltissimo queste condizioni appena descritte. Queste specie si adattano a terreni alcalini e/o poco organici, e si sono evolute per assorbire microelementi e altri cationi secernendo, con i loro essudati radicali, molecole in grado di chelare e poi assorbire questi elementi. Quando si ha a che fare con queste specie, è importante fare in modo che il terreno non raggiunga mai potenziali red-ox bassi, assicurando buona aerazione con sabbia di granulometria più elevata e scarsa aggiunta di sostanza organica, ed eventualmente con aggiunta di pietrisco calcareo che tampona eventuali forme di acidità .

Conifere tipiche di terreni umidi e organici (es. abeti e larici) si adattano meglio invece a terreni sub-acidi, ottenibili usando torbe di sfagno o altre a pH acido, miscelate con materiale grossolano che assicura un buon drenaggio.

La maggior parte delle specie da frutto coltivate e specie di bosco (fino a 1000m) nostrane si adattano bene a condizioni medie del substrato, ottenibili miscelando sabbia di varia granulometria (0,5-3 mm) con argilla a formare miscele 70% - 20%, con una piccola aggiunta di sostanza organica (da letame, pollina o altro ma non torba). Se il vaso è profondo sarebbe bene miscelare la sostanza organica solo negli strati più superficiali.

Anche quando si ha a che fare con substrati inerti al 100% il discorso pH è importante riferito all'acqua di irrigazione, perché soprattutto con un pH elevato dell'acqua del rubinetto dovuto ad elevata quantità  di calcare (come nel mio e in molti altri casi), molti elementi come i microelementi ed il fosforo (che precipita con il calcio) si insolubilizzano non rendendosi disponibili. Tuttavia, se i fertilizzanti vengono somministrati immediatamente dopo il loro scioglimento in acqua (oppure con granulari a lento rilascio) come nella maggioranza dei casi avviene, credo che non si avranno comunque problemi.

Insomma, tutto per dire che ora ognuno, sulla base dello studio degli habitat naturali propri delle piante che coltiva, può ricreare il substrato più idoneo ragionando sulla base delle cose dette fin qui.

Ricordare che: habitat umidi, piovosi e freddi determineranno terreni acidi e organici; habitat asciutti e aridi determineranno terreni alcalini e minerali (poca SO); tutti gli altri rappresentano situazioni intermedie.


RIEPILOGO SUBSTRATI E METODI DI PREPARAZIONE DELLE MISCELE

La torba è un materiale semi-fossile che ha avuto un processo di formazione molto lungo, è povera di ogni elemento nutritivo e formata prevalentemente da carbonio; quanto più è vecchia, tanto più la torba è stabile (non attaccabile da batteri) e si comporta da inerte; torbe invece di recente formazione non hanno queste caratteristiche. Come riconoscerle? Difficile. Tra quelle che si trovano comunemente nei vivai e garden, sono da preferire quelle con la maggiore % di carbonio organico. Di solito le torbe di buona qualità  hanno un prezzo superiore, ma anche quello non è una garanzia. La qualità  dipende poi anche dalle specie di piante da cui si sono originate.

I terricci universali sono formati da torba e altri materiali organici compostati: compost, letame, pollina, borlanda, ecc... Ora, il materiale compostato degradandosi offre tutta la gamma dei nutrienti per la pianta, il problema è però quello già  detto: l'abbondanza in questi substrati di sostanza organica decomponibile rende l'azione dei microorganismi potentissima al punto che a questi non basterà  quasi mai l'ossigeno presente nel substrato, specie quando questo è bagnato (in quanto l'acqua impedisce un efficace scambio gassoso), e ben presto inizieranno la decomposizione anaerobica del materiale, producendo dei prodotti che sono veleni per le piante, mentre l'abbassamento del potenziale red-ox porta a generare chimicamente ancora altri veleni.
Usati allo stato puro, i terricci danno quasi sempre problemi con piante non autoctone del luogo di coltivazione e coltivate in appartamento. Il loro uso si rende tuttavia possibile quando sono abbondantemente mescolati con inerte. Tipica è la composizione di molti substrati usati dai vivaisti e bonsaisti, composti da 70% pomice e 30% terriccio, che danno buoni risultati di coltivazione con la maggior parte delle piante coltivate.
Discreti risultati si ottengono anche mescolando con il terriccio (ma anche torba), almeno il 50% di sabbia da circa 1 mm.

Akadama: rappresenta forse il substrato più conosciuto per i bonsai. Si tratta di argilla pressata e cotta in frammenti di varia granulometria. E' quindi un substrato minerale drenante, con un certo potere nutritivo (soprattutto in fatto di microelementi) e capacità  di scambio cationico che tendono ad aumentare con il tempo per lo sfaldarsi dei granuli.

Inerti grossolani: pomice, lapillo, agriperlite, spaccato di roccia e argilla espansa:

Gli inerti possono essere utilizzati in purezza ottenendo quindi substrati con CSC trascurabile e potenziale redox alto. Queste condizioni permettono un controllo assoluto della fertilizzazione e quindi della crescita della pianta. Garantiscono inoltre un bassissimo rischio di incorrere in marciumi radicali. La fertilizzazione in particolare, dipendendo esclusivamente dagli apporti esterni, dovrà  essere completa dei macro e microelementi (meglio in forma chelata) da somministrare miscelando al substrato granulari a rilascio programmato o con fertilizzanti aggiunti costantemente all'acqua di irrigazione. Da notare che ai fertilizzanti mancano quasi sempre Ca e Mg in quanto si pensa che irrigando con un'acqua mediamente dura questi elementi non possano mancare, ma non è detto e il discorso non vale se si usa acqua piovana.

Vediamone alcuni:

Pomice e lapillo: al momento sono i materiali più utilizzati per la coltivazione dei bonsai. Pur essendo inerti, grazie alla loro porosità  offrono una modesta capacità  di ritenzione idrica.
Gli unici inconvenienti: bisogna innaffiare con molta frequenza, anche quotidianamente in estate, in quanto l'evaporazione intensa asciuga velocemente il substrato; bisogna inoltre pensare a fornire con i fertilizzanti tutta la gamma dei nutrienti.
D'altra parte, per l'impostazione delle radici l'uso di questi materiali è davvero una scelta ottimale, pratica e comoda, in quanto al momento del rinvaso risulta abbastanza facile liberare le radici per poi lavorarci.

Agriperlite: può essere considerata alla stregua della pomice ma con maggior capacità  di trattenere acqua. Molto usata allo stato puro come substrato di radicazione delle talee.

Spaccato di roccia: al contrario dell'agriperlite, differisce da pomice e lapillo per una minore ritenzione idrica e quindi necessita di maggiori interventi irrigui.

Argilla espansa: è un materiale facilmente reperibile ma che gode di cattiva fama. La ragione di questo deriva dal processo di cottura dell'argilla che porta a trasformare il carbonato di calcio (CaCO3) in CO2 e Ca(OH)2: il Ca(OH)2 è fortemente alcalino, molto più del carbonato, la CO2 invece fornisce semplicemente porosità  al materiale. Quando il granulo di argilla è integro va tutto bene perchè esternamente, almeno quella da agricoltura, è trattata; se però il granulo si spezza o con il tempo si corrode sono guai, perchè all'interno, a causa del Ca(OH)2, il pH è molto elevato (9-10) e per questo caustico per le radici.
Ci sono ora in commercio dei prodotti a base di argilla espansa con pH controllato: questi prodotti vanno benissimo per la coltivazione delle piante, bisogna però che sia dichiarato in etichetta...


Alla fine di tutto penso che la cosa più importante sia che ognuno, giocando sui fattori finora analizzati, cioè aerazione del substrato/contenuto di sostanza organica/pH, trovi quel giusto valore di potenziale red-ox maggiormente adatto alla situazione e alla specie coltivata ed intervenga di conseguenza in modo adeguato con i fertilizzanti... Buon lavoro!

Se qualcuno vuole fare commenti, osservazioni, suggerimenti ecc può benissimo farlo in questa discussione:
https://bonsai-italia.forumattivo.it/t200-chimica-del-terreno-e-substrati

Andrea Lubrano
Ospite


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